James Taylor durante i primi anni ottanta è il tastierista del gruppo
rock inglese The Prisoners e nel 1987, dopo lo scioglimento della band, decide di
fondare un suo gruppo; il James Taylor Quartet. La musica proposta è prettamente
strumentale ed è ispirata alla musica funk dei film blaxploitation degli anni
settanta ma anche al soul R&B dei Booker T. & the M.G.s. La passione
per i temi cinematografici si manifesta già nel primo lp della band, Mission
Impossible, una raccolta di cover di sigle di film eseguite
con l’hammond, la chitarra elettrica, il basso e la batteria. Con il tempo
la reputazione del gruppo cresce grazie anche agli innumerevoli concerti basati su sonorità funky
wha-wha che includono ampi spazi per gli assoli e un attivo coinvolgimento del
pubblico.
Agli inizi degli anni
novanta il gruppo cambia sound, includendo nella formazione anche cantanti come
Rose Windross, Alison Limerick e Noel McKoy. Il singolo Love The Life raggiunge un buon livello
di vendite , ma
è soprattutto l'album In The Hand Of The Inevitable, sull’onda del
movimento Acid jazz, il disco più venduto del gruppo.
Nel nuovo millennio
avviene un nuovo cambio di direzione verso un sound più funk e strumentale ed un ritorno
alla originaria formazione a quattro, almeno per quanto riguarda i concerti dal vivo.
La band inglese
si è recentemente esibita dal vivo a Roma al Rising love e Musicittà ha avuto
modo, durante il sound-check pomeridiano, di avvicinare James Taylor per fargli
qualche interessante domanda riguardo la musica e la storia del JTQ.
Intervista a
James Taylor del James Taylor Quartet
MUSICITTÀ: Ciao James, siamo veramente
felici di incontrarti.
Vorrei iniziare
chiedendoti come hai fatto a mantenere intatta la tua passione, che si
manifesta ad ogni concerto ed in ogni tuo album, per più di un quarto di
secolo. Quale è il tuo segreto? Da dove trai la tua ispirazione?
JT: Dalle persone, dal
coraggio umano e dalla speranza. Sai mi riferisco alla gente comune che
affronta la disperazione della vita rimettendo tutto in gioco. I musicisti
spesso riescono a riflettere ciò che accade intorno a loro.
Inoltre devo dirti che
un'altra fonte di grande ispirazione era mio padre, lui era un uomo veramente
in gamba. Mi ha sempre spinto a creare cose belle, in particolare ad avere un
ottimo rapporto col pubblico. E’ quindi per
me veramente profondo ed appagante riuscire
a fare qualcosa di bello.
MUSICITTÀ: All'inizio
della tua carriera facevi parte del gruppo "The Prisoners”, eravate una
band che si ispirava al Beat ed
al Soul degli anni '60, ci sono dei dischi di
quegli anni a cui ti senti
particolarmente legato?
Ian McLagan tastierista dei Small Faces |
MUSICITTÀ: Saprai che alcuni giorni
fa ci ha lasciato Ian Mc Lagan il tastierista
degli Small Faces.
JT: Oh Ian, lui era assolutamente
un eroe per me.
MUSICITTÀ: Devo dirti
che io sono una fan degli Small Faces.
JT: Anch'io. Infatti quando mi hai posto la domanda ho pensato che stavate per chiedermi se ci fosse stato un disco fondamentale per me e allora ti avrei detto "Ogdens' Nut Gone Flake". Oh, il modo con cui lui giocava con i suoi strumenti, perché si tratta di un sound complesso ed interessante e quando lo ascoltavo mi chiedevo "ma come fa ad ottenere quel suono da quell'organo?" E questo vale anche per "Up The Wooden Hills to Bedfordshire" e per tutta la musica in cui si è esibito. Penso che fosse un ragazzo eccezionale. Ma purtroppo non ho mai avuto il piacere di incontrarlo personalmente.
JT: Ha avuto una massiccia
influenza su di me. Quando stasera suoneremo sentirete un pò di Ian Mc Flagan.
MUSICITTÀ: Tornando
alla tua musica, devo dire che il modo in cui tu fondi jazz, R&b e funk non
rende affatto facile descrivere il tuo sound. Comunque da un punto di vista
femminile ho notato che riesci a dare grande spazio al romanticismo. Come fai a
combinare ritmo e sentimento?
JT: Questa e’ una
domanda veramente super! (rilasciando una risata contagiosa!) Nei miei dischi
intendi?
MUSICITTÀ: Specialmente sui tuoi album. Si.
JT: Stiamo parlando di
un’area veramente interessante da esplorare,
penso che il trucco sta nel mantenerli separati, puoi solo contrapporli e vedere la loro reazione se
riuscirai ad avvicinarli. Stasera inizierò il concerto partendo con un tono
pacato con un’intensità ritmica piuttosto bassa. Si tratta di un sound che
definisco sentimental-impressionista. Il mio più grande eroe è Beethoven, lui
riusciva a combinare il sentimento col romanticismo. E lo faceva passando dal
sentimento a qualcosa di muscoloso, molto potente, e poi dopo passava a
qualcosa di molto gentile, una sorta di bipolarismo puramente geniale.
James Taylor |
MUSICITTÀ: Ascoltando i
tuoi dischi sembra che ti piaccia molto fare cover di brani polizieschi, puoi
dirci quali sono i criteri che segui nella scelta dei brani?
JT: Quando ero bambino
eravamo letteralmente sommersi dai film polizieschi americani e spesso questi
film facevano un pò schifo però le musiche erano splendide, e chi le scriveva? Lalo Schifrin, lui si che era un genio ed infatti
siamo ancora attratti dalla qualità
della sua musica.
Noi comunque, nei
concerti, le cover le usiamo principalmente come “gancio” per quella fetta di
pubblico che non ci conosce. Una parte del pubblico ci segue e sa tutto di noi,
altri conoscono solo alcuni nostri brani. Le eseguiamo quindi per far
interagire e rendere partecipe il pubblico e le decidiamo sul momento dato che
non abbiamo una scaletta scritta. Sono gli spettatori a richiedercele e anche
questo fa parte della nostra connessione con loro.
MUSICITTÀ: Hai anche
partecipato ad una e vera propria colonna sonora, quella di Austin Powers. Ti è
piaciuto il film? Come è stata la tua esperienza con l’industria
cinematografica? Che differenza c’è nel lavorare per una grande produzione
cinematografica rispetto a lavorare ad un album come The Money Spider*?
James Taylor
ci invita ad allontanarci dal palco dove sta cominciando il soundcheck, ci
accomodiamo quindi nel backstage del locale.
Quando la tua
ispirazione ti fa scaturire musica dalla visione di una o più immagini , allora
è sicuro che otterrai, prima o poi, il favore del pubblico. Questa è stata
l’abilità di gente come Lalo Schifrin che era capace di lavorare, colorare e
drammatizzare una storia. E’ una strada molto interessante da percorrere. C’e’
molta gente in gamba che lavora proprio in questo campo.
MUSICITTÀ: Nel tempo il
tuo sound si è progressivamente evoluto includendo anche fiati e vocalizzi. Possiamo
comunque dire che il James Taylor Quartet è rimasto il tuo “Marchio di
Fabbrica”?
JT: E’ da sempre
rimasta la mia forma preferita di esibizione visto che la gente ama ascoltare
l’Hammond. Sono stato strattonato in varie direzioni, ho flirtato con molte
idee. Ho suonato in posti diversi. Ho lavorato con un’orchestra, con un coro ed
il quartetto allo stesso tempo. Abbiamo lavorato anche con cento elementi sul
palco. Ma il JTQ rimane il mio preferito.
Le persone che vengono ad ascoltarci
vogliono sentire l’organo, vogliono ascoltare quel suono. Ed è
l’esperienza che più mi diverte. E’ la più pura e la meno corruttibile forma
musicale che possiamo esprimere ed è la musica che ci piace fare di più.
MUSICITTÀ: La tua
musica, in circa venticinque anni di carriera, si è progressivamente evoluta e
con essa sono aumentati gli impegni e le fatiche. Come fai ad ottenere il meglio dal tuo gruppo
dopo tutti questi anni? Ci deve pur essere una sorta di disciplina.
JT: La collaborazione
con altri musicisti su progetti musicali a lungo termine è molto fragile. C’è
molto da viaggiare, molto tempo da passare in sala di registrazione e la
scintilla creativa deve rimanere intatta. Non si tratta solo di talento, ma
anche e soprattutto di professionalità e questi ragazzi non sono solo
profondamente talentuosi ma anche molto
seri nel loro mestiere, sanno chi sono e cosa vogliono. Vedi,
l’artista che sale sul palco è un po’ freak, oserei direi un pazzo. In un certo senso suonando tira fuori i suoi demoni
e il tutto diventa veramente bello e positivo fino a trasformarsi in un qualcosa
molto vicino ad una lode. Ed è per
questo che il rapporto tra musicisti ha permanentemente bisogno di essere
seguito in modo attento e delicato, è come un ballo. Tu sei molto sensibile nei
loro confronti e loro lo sono nei tuoi. E se si riesce a stare sulla stessa
lunghezza d’onda allora si può fare un buon lavoro insieme.
MUSICITTÀ: E questo spirito
si avverte. Sembra che tu voglia abbracciare il tuo gruppo come se fosse la tua
famiglia. Certo ci saranno stati dei momenti dove magari ci siete andati giù di
pesante. Ma cosa succede quando si arriva ad una rottura, quando si perde un
elemento a cui si è veramente legati?
JT: Perdere un
musicista a cui vuoi bene, può veramente spezzarti il cuore. E’ molto doloroso.
La mia idea è quella di creare qualcosa di umanamente adeguato. Spingerli ad salire
sul palco per dare tutti il nostro massimo mi eccita moltissimo, come fossi un
bambino, come mio padre ha fatto per me.
MUSICITTÀ: Sai
apprezzo molto il fatto che tu parli di tuo padre nel modo in cui lo fai. Deve
avere ancora un impatto positivo su di te. Abbiamo avuto modo di parlare con
altri artisti che non si sono mai aperti così spontaneamente riguardo il loro
background. Perciò volevo solo dirti che tuo padre sarebbe orgoglioso del
lavoro che stai portando avanti e del fatto che tu lo ricordi spesso.
JT: E’ vero. Ciò che vendo è l’amore di mio padre.
MUSICITTÀ: Se mi permetti devo dirti che non lo stai
“vendendo” ma trasmettendo.
MUSICITTÀ: Nel novecento
l’Italia ha dato i natali a grandi musicisti come Piero Umiliani, Ennio
Morricone, Armando Trovaioli & i Marc 4, Piero Piccioni ed altri, ma tutti questi maestri, per varie ragioni,
hanno ricevuto più riconoscimenti all’estero che in terra propria. Tu cosa ne pensi
della loro musica?
JT: Davvero, non lo
sapevo. Io odio questo. Quello che mi dici è molto triste perchè io adoro la
loro musica, credo che il loro segreto era di saper armeggiare la tradizione
operistica di Verdi , sapevano come drammatizzare e come dipingere i loro sentimenti in
musica. Verdi per me è il re. Verdi a
tutt’oggi influenza tutti i tipi di colonne sonore ed è il mio numero uno, più di
Beethoven. Perché è riuscito a portare
avanti la parte emotiva fino nelle sue parti più circoscritte.
Giuseppe Verdi e’
stato un uomo che conosceva bene cosa fosse la disperazione. Perse la moglie ed
i figli prima di diventare famoso, e come compositore ha sempre combattuto per
essere accettato.
MUSICITTÀ: Durante gli
anni ’90 hai proposto un sound diverso rispetto ai tuoi esordi, proponendo
spesso vocalist femminili, per poi ritornare ad una musica più strumentale. Che
ricordi hai di quel periodo?
JT: Bè, ero molto
giovane e quello fu il periodo della mia perdita dell’innocenza.
Fu come per Cesare attraversare
il Rubicone e dopo non vedevo la via di ritorno. E’ stata la mia “fase
edonista”. Ho iniziato allora ad avere
successo ma sono diventato tossicodipendente. Sono riuscito comunque a venirne
fuori e rimettere le cose a posto. Ma c’era parecchia schifezza in quegli anni
specialmente nell'ambiente dei musicisti. Infatti, il successo e la fama sono
solo un mito. I miei ricordi felici appartengono al periodo precedente.
MUSICITTÀ: Ultimamente,
hai incluso nella tua ricerca alcuni brani di impostazione classica come ad
esempio "Dark August" e "Pearl’s Dance" ed hai interpretato
la tua versione della “Pathetic Sonata n.8” di Beethoven su Closer to the Moon.
Pensi che questa possa essere una nuova direzione da intraprendere o è solo una
pausa nella tua ricerca funk & soul?
JT: E’ come
riconoscere l’esistenza di estremi livelli di bellezza artistica, livelli che oggi
raramente possono essere percepiti. Come musicista voglio continuare a comporre
musica e continuare a creare “sound sculptures” seguendo la tradizione della musica creata
dai grandi musicisti in modo che essa viva per l’eternità. E questa è la direzione verso cui sto
lavorando.
MUSICITTÀ: Nel tuo
ultimo album hai deciso di cantare
“Closer to you”, ebbene, sei soddisfatto del risultato?
JT: No, non sono
rimasto soddisfatto.
MUSICITTÀ: Pensi che
canterai nuovamente?
JT: La voce è solo un
altro strumento, solo che non lo so ancora usare bene. Ma comunque canterò
ancora, lo farò stasera.
Il Quartet al Rising Love |
MUSICITTÀ: Be’ credo
di aver preso un bel po’ del tuo tempo e ti ringrazio per aver risposto a tutte
le nostre domande.
JT: Devo dire che erano
veramente ottime domande.
MUSICITTÀ: Grazie
James, sono contenta che l'intervista ti sia piaciuta!
*Per chi non lo sapesse il 33 giri Money Spider fu concepito
come la colonna sonora di un immaginario film di spionaggio.
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