Aldo Patriarca, romano e romanista verace, ha svolto per
quarant'anni circa la professione di discografico in Italia. Partendo dal
Cantagiro negli anni sessanta, passando attraverso le più acclamate
manifestazioni musicali in Italia ed all'estero, ha tracciato un percorso contrassegnato
da svariati successi professionali conseguiti come promoter per le principali
case discografiche italiane, arrivando ad assumere l'incarico di Direttore
artistico in cinque edizioni del Festival di Sanremo.
Recentemente ha scritto per la Minerva Edizioni di Bologna il libro "Una vita a 45 giri" che raccoglie i racconti, gli aneddoti ed i
ricordi della sua lunga e fortunata carriera.
In un soleggiato pomeriggio romano ho avuto il piacere di incontrarlo
dopo la recente pubblicazione del libro. Parlando con lui della sua opera ho potuto affrontare
alcuni aspetti del mondo della canzone che da tempo mi incuriosivano.
L'incontro è stato lungo e stimolante e grazie alla grande
disponibilità di Aldo abbiamo toccato diversi
argomenti esclusivi che ritengo possano interessare a tutti gli appassionati della musica leggera italiana
ed internazionale.
Aldo Patriarca |
Intervista ad Aldo Patriarca
Nel libro che hai recentemente scritto e presentato, "Una
vita a 45 giri", racconti della tua
vita professionale come promoter discografico e direttore artistico delle
principali manifestazioni musicali italiane. Un percorso che ti ha portato in
contatto con i più grandi artisti e che penso corrisponda all'evoluzione che la
musica internazionale ha compiuto dagli anni sessanta ai novanta.
E’ vero e credo che
questo libro non sia diretto soltanto agli addetti ai lavori ma possa essere
apprezzato anche dal grande pubblico.
Vorrei però cominciare
partendo dal titolo del libro, io lo avrei intitolato "Da San Pietro a
Sant'Ambrogio passando per Sanremo", perchè volevo sottolineare il mio
percorso professionale che mi ha portato dalla Rca di Roma alle case
discografiche milanesi , inserendo anche Sanremo in quanto ho fatto ben
ventiquattro Festival sia come discografico che come direttore artistico. Alla
fine, sotto consiglio dell’editore, l’ho comunque inserito come sottotitolo.
Il tuo racconto inizia con la Rca
Italiana, la tua prima casa discografica. Tu nel libro l'hai descritta come l’Università del disco. Cosa hai imparato in
quella scuola?
Devo dire che in Rca
ho imparato un mestiere. Perchè era una casa discografica a ciclo completo, gli
americani che l’avevano costruita sulla via Tiburtina avevano pensato in grande.
Li poteva entrare un giovane di piene speranze e dopo aver passato il provino
firmava il contratto e poi poteva subito registrare il brano più adatto. L’artista
trovava lo studio con tutta l'orchestra diretta da arrangiatori del calibro di Ennio
Morricone e Bacalov. A seguire, sempre
all’interno, veniva realizzata la copertina del disco e una volta pronto il brano, attraverso un processo galvanico, si passava
dal nastro allo stampaggio dei dischi. Appena prodotti i dischi venivano inseriti nelle copertine, impacchettati
e caricati nei camion, sempre di
proprietà della Rca, che rifornivano le nostre dieci filiali dislocate in tutta Italia.
Considera che le altre
case discografiche, la Ricordi, la Durium,
la Ariston, la Rifi e tutte le altre avevano solo degli uffici dove
selezionavano i cantanti ed i brani, ma
per registrarli erano costrette ad affittare uno studio e anche per stampare i
dischi dovevano rivolgersi ad uno stabilimento. E’ per questo che ho scritto che è stata un'università per me,
perchè ho fatto ed imparato ogni cosa, pensa che ho collaborato nella
realizzazione di alcune copertine e anche di tutti i cartonati che utilizzavamo
per allestire le vetrine dei negozi. Ed infatti ho cominciato proprio facendo
il vetrinista. Quindi in Rca ho imparato il mestiere del discografico e questo
mi ha aiutato per tutta la mia carriera.
All'epoca fu pubblicato un 45 giri di un cantante romano ai
suoi primi esordi: "Non basta sai" di Renato Zero, cosa ricordi di
quel disco?
Intanto ti dico che oggi
quel disco di Renato Zero è rarissimo e io ce l'ho, è una copia promozionale
fatta appositamente per la Radio e la Tv , la foto della copertina è stata fatta alla Rca, il muro di mattoni è infatti quello degli stabilimenti
di via Tiburtina. Ne avrà vendute non
più di un centinaio di copie e oggi lui non ne ha neanche una. Quando ha saputo
che avevo il disco, me lo ha subito richiesto ma ho dovuto dirgli di no perchè
sono molto affezionato a quegli anni e per
me quel 45 giri rappresenta molto.
Quante copie furono stampate?
Quel singolo ebbe una
tiratura molto limitata. All'epoca la Rca per il debutto di un giovanissimo
cantante non stampava molte copie, il
disco era prodotto da Gianni Boncompagni
che aveva già inciso due 45 giri con il nome di Paolo Paolo, tra i quali
"Prendi il mondo così", che era il leitmotiv di un film con Nino Manfredi
di cui non ricordo il titolo.
Dopo la Rca c'è stato il passaggio alla Phonogram di Milano.
La sede della
Phonogram era a Milano ma io comunque avevo anche un ufficio a Roma in Viale Carso
dove, come si legge sul libro, sono passati tutti i nostri artisti. Avevamo una bella sede con un terrazzo molto
grande dove, per l'estate, avevo fatto
mettere un ombrellone ed un grande tavolino, li ci incontravamo con i nostri
amici cantanti, parlo di artisti del calibro di Bee Gees, Barry White, Demis Roussos,
Antonello Venditti. Il rapporto con loro
era di profonda amicizia, c’era tra di noi un bel feeling che si è perpetuato
per tutta la mia vita discografica.
Io mi preoccupavo di
prendere l'aereo per Milano la domenica sera per essere puntuale il lunedì
mattina allo staff meeting. Pensa che i miei amministratori delegati, dopo aver
conosciuto il mio modo di lavorare, mi dissero che avevo sbagliato città di
nascita in quanto ero più preciso dei milanesi.
Nel catalogo della Phonogram degli anni settanta, che
comprendeva varie etichette come la Philips, la Charisma e la
Polydor vi erano molti artisti stranieri e italiani.
Qual’era la differenza principale tra loro?
Guarda, ti dico subito
che lavorare con gli stranieri era molto più facile perchè innanzitutto erano
molto collaborativi e questo era già un ottimo punto di partenza. Ti voglio
raccontare un aneddoto che riguarda Cat
Stevens, stiamo quindi parlando di un grande della musica internazionale. Andai
a prenderlo all'aeroporto di Fiumicino insieme con la mia segretaria che faceva
anche da interprete, data la mia idiosincrasia con la lingua inglese e gli dissi
candidamente "andiamo qui vicino a
fare una trasmissione televisiva". Ci siamo fatti invece un'unica lunga
tappa da Fiumicino a Bari, in quanto al teatro Petruzzelli c'era un programma
televisivo che si chiamava "La Caravella dei successi" organizzato da
Gianni Ravera, quello che sarebbe poi diventato il mio patron al Festival di Sanremo.
A Bari ci aspettava Michele Mondella, un suo collaboratore che ci aspetta
agitato fuori dal teatro, dato che, avendo trovato molto traffico, eravamo in
forte ritardo. Appena arrivati gli abbiamo dato il nastro con il brano in
playback. E mentre Cat Stevens entrava in camerino io sono subito andato a
prendergli la chitarra, lui si è rapidamente cambiato la camicia e si è dato
una veloce lavata al viso, quindi ha preso lo strumento e di corsa è salito sul
palco proponendo quella meravigliosa canzone intitolata "Lady D'Arbanville".
Vi era quindi una grande
disponibilità da parte di questi grandi artisti stranieri tra cui potrei
citarti anche Amanda Lear e Demis Roussos.
Forse questa differenza era dovuta anche alla cronica mancanza di
preparazione dell’artista italiano che non conosceva ancora la gavetta del
musical, dell’attività concertistica e delle scuole di recitazione ...
E' vero, loro erano
artisti completi, non si accontentavano di fare solo i dischi e scimmiottare quando
andavano in televisione, questo aspetto era fondamentale. Ricordo ad esempio i
Genesis, portati in Italia da David Zard nel 1972. Fecero alcuni concerti ed esplosero
prima qui e poi nel resto del mondo. Mi ricordo una cosa bellissima, era il
1973 ed ero al Rainbow di Londra, quindi un grande teatro non un piccolo club, i
Genesis presentavano in concerto l'album "Foxtrot", ebbene Peter Gabriel
durante lo spettacolo cambiò nove personaggi compresi di trucco e vestiti,
questo in Italia non l'ha fatto mai nessuno, stiamo proprio parlando di artisti
a tutto tondo.
Infatti gli artisti stranieri avevano da anni la cultura delle
tournèe mentre in Italia si cominciava a farle solo in quegli anni ed inoltre
il clima degli anni settanta non era dei migliori...
Infatti gli italiani al massimo facevano qualche
serata ed i concerti per trentamila persone sarebbero arrivati solo anni dopo.
Inoltre alcuni concerti furono funestati da disordini e voglio raccontarti
quello che successe al Palazzo dello
sport di Roma.
Quel giorno vi era Lou Reed della Rca in concerto , prima di lui
erano saliti sul palco Angelo Branduardi, di cui David Zard ne era anche il
produttore, ed i String Driven Thing
portati da me. Loro erano un gruppo della Charisma che oggi nessuno ricorda
più, avevano un sound molto particolare che comprendeva anche il violino e il
contrabbasso. Ebbene, quando gli String
finirono di suonare gli autonomi dal
terzo anello cominciarono a buttar giù delle bottiglie di vetro piene di Coca
cola, ci furono diversi feriti, il
concerto venne sospeso e il Palazzo dello sport fino al 1977 rimase chiuso ai
concerti. Quella serata i giornalisti se la ricordano bene, mi trovavo proprio
vicino a loro quando venimmo bersagliati da numerose bottiglie
Dopo la Phonogram c'è stato il periodo alla Cbs che, da
quanto si legge sul libro, è stata per te un'esperienza più amara che dolce, ma
tralasciando l'amaro, quali sono i tuoi ricordi più belli?
Tra i ricordi più
belli c’è sicuramente la conoscenza di
Miguel Bosè che è stato per me l'artista che ho sentito più vicino al mio modo
di pensare, una persona di una
sensibilità e di una cultura unica e poi ho conosciuto anche Julio
Iglesias, il Mister Pensami, amato da
tutte le donne e soprattutto dalle mamme. Ti voglio raccontare un aneddoto,
dopo un concerto lo seguii insieme a mia moglie nel camerino della Bussola
Domani dove lui mi chiese "Aldo, io ti vedo sempre con i jeans e con il
blazer, ma potrei metterli anche io?" gli risposi "certo, ma che
siano belli e non "scaciati"
come i miei" e lui da quel momento ha indossato il blazer blu sopra i jeans.
Ho conosciuto anche Bruce Springsteen e Sting
dei Police perché anche l'AM Records all’epoca era distribuita dalla Cbs.
Avevamo l'ufficio al primo piano di una palazzina in viale Mazzini all'angolo con
viale Angelico. E poi in quel periodo c'era alla Cbs un artista italiano che
credo che abbia fatto con noi il suo disco più bello, lui è un artista un poco
particolare, alcune sue canzoni sono delle vere poesie, parlo di Claudio Baglioni.
Il suo disco disco "Strada facendo" del 1981 contiene una canzone che è tra le mie
preferite, parlo di "I Vecchi" il cui testo andrebbe messo sui libri di scuola.Claudio con "Strada facendo" ha avuto la sua consacrazione, considera che sull’onda del grande successo di vendite ha fatto un tour di 42 date in tutta Italia, il concerto di chiusura si è tenuto sopra un palco galleggiante alla Darsena di Venezia, aperta per l'occasione al pubblico dopo settecento anni.
L'album Strada facendo di Claudio Baglioni |
Poi alla fine del 1982 il rapporto con l'amministratore delegato della Cbs è divenuto critico e a quel punto mi sono dimesso, devo dire che l'evento dimissioni ricorre spesso nella mia vita professionale, è successo quando ho lasciato la Rca, la Phonogram e come ti ho appena detto la Cbs, questo avveniva poiché conoscevo bene il mio valore.
Comunque la mia inattività è durata poco perchè Il giorno dopo le dimissioni Gianni Ravera mi ha chiamato chiedendomi se volevo diventare il direttore artistico di tutte le sue manifestazioni. E così sono diventato il direttore artistico del Festival di Sanremo dal 1983 al 1987, in primavera mi occupavo di Serata d'onore a Montecatini, poi era il turno di Un disco per l'estate che si teneva a Saint Vincent e c'era la Rassegna Internazionale di musica leggera a Riva del Garda. Inoltre mi occupavo anche di Castrocaro e dulcis in fundo dello spettacolo di fine anno che si teneva nel Salone delle feste del Casinò di Sanremo.
Mi trovai così a gestire un gran numero manifestazioni, non ti dico quanto gli altri discografici mi adulassero.
A proposito voglio raccontarti un aneddoto riguardante Zucchero. Durante Sanremo mi capitava spesso, data la numerosa mole di lavoro, di andare a dormire alle quattro di notte, Ebbene Adelmo si faceva trovare in albergo con la chitarra in braccio e cominciava a suonarla chiedendomi "senti Aldo, per Un disco per l'estate ti piace questa canzone?" e poi quando eravamo a San Vincent faceva lo stesso chiedendomi "ti piace questa per Riva del Garda?" insomma devo dire che Zucchero, così facendo, riuscì veramente a sfinirmi! Ma la mia meraviglia è stata quando lui al Festival di Sanremo del 1985 cantò "Donne", per l'esibizione indossò un cappellino sponsorizzato, dopo che io l'avevo pregato di non mettere niente dato che c'era un marchio che aveva pagato profumatamente la Rai per l'esclusiva.
Quindi tanti appuntamenti e tanto impegno, come ti sei
trovato a gestire tanta responsabilità e come era il tuo rapporto con Gianni
Ravera?
Fare il direttore
artistico era un duro lavoro dato che allora le mansioni comprendevano innumerevoli compiti ma non è stato difficile
per me dato che avevo gia un'esperienza ventennale di discografico, inoltre nell'affrontare
le innumerevoli questioni pratiche mi
tornò sicuramente utile l'esperienza maturata in Rca.
Mi aiutò anche
l'ottimo rapporto con Gianni, tra di noi c'era una stima reciproca frutto di un
lungo rapporto professionale iniziato negli anni sessanta, lui conoscendo la
mia onestà si fidava molto e mi dava ampi spazi d'autonomia. Un ottimo rapporto,
quasi paterno
Come è terminata la tua esperienze di Direttore al Festival?
L'ultimo Festival che
ho fatto come direttore artistico è stato quello del 1987, Gianni Ravera purtroppo
ci aveva lasciato a maggio dell’anno precedente, per cui quel Sanremo dovetti
caricarlo tutto sulle mie spalle, ti posso dire che per me è stato molto faticoso però quella è stata l'edizione
che mi ha dato più soddisfazione dato
che è stata la più seguita e forse anche la più bella, impreziosita dalla
presenza di molti grandi ospiti stranieri. Considera che l'ultima serata è
cominciata alle nove di sera ed è terminata alle quattro di mattina, quel
festival durò quattro serate e secondo me quella è la formula ideale per il
Festival, mentre quella odierna è troppo lunga. Per le prime tre serate abbiamo
portato sul palco dell'Ariston star come Rod Stewart, Duran Duran e Spandau Ballet,
poi per la serata finale li abbiamo
tutti dirottati al Palarock presentati da Carlo Massarini. L'unica artista che
è venuta solo per l’ultima serata è
stata la grande Whitney Houston. Dopo la sua esibizione, visto che tutti gli
spettatori del teatro erano in piedi ad applaudire entusiasticamente, ho
raggiunto Pippo Baudo dietro le quinte e gli ho proposto "perchè non la
facciamo ricantare?' lui mi ha risposto dubbioso "un'altra volta la stessa
canzone?" ed io "si la stessa canzone! Ce lo proibisce qualcuno?"
e lei ha cantato per due volte dal vivo “All at Once”. Una cosa che non era mai
successa e non è più successa dopo, il
tutto è avvenuto durante la trepidante attesa dei risultati delle votazioni. Alla
fine sono andato in camerino e gli ho portato un bel mazzo di fiori, in quel
momento non avrei mai lontanamente immaginato la fine che ha fatto.
Whitney Houston al festival di Sanremo |
Non mi hai ancora parlato di quando lavoravi alla DDD.
Credo che nessuno
ricordi la Drogheria di Drugolo ma la DDD era una casa discografica che
dall'inizio anni '80 sino al 1994, oltre a Ramazzotti e Mia Martini, aveva artisti
come Fiorella Mannoia, i Matia Bazar ed Enzo Jannacci, quindi una piccola
etichetta ma con un grande catalogo.
Alla DDD hai promosso due cantanti molto differenti: Eros
Ramazzotti e Mia Martini.
Il primo un artista emergente, l'altra un'artista con un
immagine da rinverdire, quindi due tipi di promozione diversa, forse più
difficoltosa la seconda operazione.
Promuovere la Martini
non è stato più difficile , perchè Mia, a dispetto di quello che possono
pensare in molti, era una donna di una dolcezza eccezionale. Io ho avuto la
fortuna di lavorare con lei quando presentò al festival di Sanremo del 1989 lo
splendido brano "Almeno tu nell'universo”, poi tornò nel 1992 con "Gli
uomini non cambiano", devi sapere che quella canzone era riferita a Ivano
Fossati che è stato il suo grande amore e che l'aveva lasciata, si ripresentò
ancora al Festival nel 1994, quello dove io promuovevo anche Paolo Rossi ed
Enzo Jannacci con “I Soliti accordi”, lei acconsentì a cantare una canzone con
la sorella per aiutarla ma quel disco fu un flop. Purtroppo Il 12 maggio del
1995 Mia è deceduta e Il premio della
critica che sino a quel momento portava il nome di Luigi Tenco venne dedicato a
Mia Martini .
Quindi la Martini era una grande professionista?
Era una persona
incredibile, quello che io gli dicevo e gli suggerivo lei lo faceva serenamente
senza alzar voce, senza nessun problema. Io penso che un'artista deve ascoltare
chi ha più esperienza, per loro ero quasi un padre e difatti la mia più grande
delusione è stata con Eros Ramazzotti perchè lo consideravo un figlio, per me
la fine del rapporto con Eros è una ferita ancora aperta e lo si capisce bene
nel libro.
Invece Mia mi è rimasta nel cuore insieme ad un altro
grande artista che purtroppo se ne è
andato proprio a Sanremo nel 1967, parliamo di
Luigi Tenco.
Tu c'eri a quel festival?
Si, io stavo proprio con lui, Luigi aveva una grande sensibilità e
penso che non avrebbe dovuto partecipare
ad una competizione così snervante come il Festival di Sanremo, ricordo che
solo il pensiero di trovarsi di fronte a venti milioni di telespettatori lo metteva
in apprensione. Lui preferiva il contatto diretto con la gente comune, era un antesignano del 1968.
Dicono che lui all'epoca fu uno dei primi a cercare il
contatto con gli studenti, con i giovani e gli operai. Si espose molto e ricevette
delle critiche sbagliate, tu scrivi sul tuo libro che in Rca fu
criticato dalle maestranze.
Si è vero, gli operai della
Rca che in quel periodo erano in sciopero gli dissero chiaramente "tu fai presto a parlare ma intanto giri
con il Jaguar" e lui non si è scomposto, mi ha detto "Aldo vieni con
me" quindi siamo andati da un autoconcessionario dove ha lasciato la Jaguar
prendendosi un’utilitaria. Ebbene, con la differenza ha firmato un assegno per
gli operai in sciopero
Ma perchè gli operai erano scesi in sciopero?
Perchè gli americani
erano stati furbi e costituendo la Rca a Roma, il contratto per le maestranze
non l'hanno fatto come discografici ma come metalmeccanici, per pagare stipendi
più bassi e meno tasse. Approfittarono del fatto che nello stabilimento,
stampando il vinile, si svolgeva anche un'attività industriale.
Dopo tanti anni di esperienza sul campo sei senz'altro in grado di dirmi quali erano le caratteristiche che doveva avere un
buon promoter.
Un buon promoter
doveva avere innanzitutto la capacità di presentarsi in Rai avendo una certa abilità di linguaggio
per interloquire con il dirigente di turno e doveva anche mantenere un buon rapporto
con la stampa.
Nei confronti degli
artisti era importante anche avere una buona capacità di convinzione dato che
spesso e volentieri si rifiutavano di partecipare ad alcuni programmi.Quindi era un lavoro basato molto sulle pubbliche relazioni ma richiedeva anche una buona dose di perseveranza. Io ero il tipo che se non riusciva a fare un programma, a mettere un'artista a Domenica in per esempio, non ci dormiva la notte. Per me il promoter non era una professione, era un divertimento. Devo dire che tutto il successo che ho avuto lo devo all'amore per questo lavoro.
Quale artista, tra quelli che non hai seguito, avresti voluto promuovere?
Questa è una bella
domanda, uno ad esempio è Vasco Rossi , io Vasco l'ho scoperto a Sanremo nel 1982, aveva fatto "Vado al
massimo" che aveva già ottenuto un buon successo, ma è nel 1983 che ha
avuto l'imprimatur della grande star con "Una vita spericolata". Mi
sarebbe sicuramente piaciuto lavorare con lui perchè lo ritengo, a differenza
di Ligabue, un vero rocker. Sai che c'è
stata una diatriba ultimamente. Insomma Vasco Rossi è unico, io ho comprato gli
ultimi suoi due cd e posso senz'altro dire che sono fantastici.
Un'ultima domanda, ha ancora senso fare il promoter oggi?
Assolutamente no. E a chi poi? Oggi i cantanti si promuovono da
soli, se vogliono andare da Vincenzo Mollica lo chiamano direttamente
chiedendogli "senti Vincenzo, vieni
a farmi un servizio quando faccio il concerto allo stadio Olimpico?". Non serve
più l'interlocutore poiché
la promozione se la fanno essenzialmente da soli. Se vogliono fare un programma
televisivo, come hanno fatto Morandi e Celentano alla Rai ed a Mediaset, i
contatti sono diretti. Non c'è più bisogno di un intermediario, devo dire che
oggi il promoter discografico è un mestiere che è divenuto obsoleto.
Con questa osservazione finale sul
mestiere del promoter siamo giunti al termine del nostro incontro e dopo qualche
scambio di opinioni calcistiche sulla squadra della As Roma mi sono congedato
con Aldo Patriarca congratulandomi con lui per la sua ottima memoria.
Chi fosse interessato al
libro "Una vita a 45 giri", sia per approfondire gli argomenti trattati
nell'intervista sia per scoprirne di nuovi, può trovare il libro QUI.
...è stato un piacere conoscerla , ascoltarla e leggere di lei...il suo vicino di aliscafo !
RispondiEliminaMolto interessante questa intervista...ed anzi, devo dire, tutto il blog: complimenti!
RispondiEliminaCaro Aldo, leggendoti ho rivissuto passo passo anche la mia vita professionale. Ho perso le tue tracce ma sono contento di sapere che stai bene e ti faccio tanti auguri per tutto.
RispondiElimina<Pierluigi Germini
Splendida ed avvincente intervista che mi ha fatto tornare indietro nel tempo... un abbraccio!
RispondiEliminaUn caro saluto dal passato comune in RCA.
RispondiEliminaUn caro saluto dal passato comune in RCA. Anna Monticelli
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